Johannesburg, il vero cuore pulsante, il battito vitale, l’anima del Sud-Africa. A detta degli abitanti locali e non solo. Una città in cui, nei luoghi comuni, è ancora possibile respirare l’aria dell’apartheid, imbattendosi improvvisamente in panche destinate alla seduta dei “solo bianchi” o “tutti i non-bianchi”. Brividi.
A pochi anni di distanza, oggi durante i mondiali FIFA 2010, le strade sono un tripudio di colori, di bandiere onnipresenti in ogni dove -portate dalla gente sulle spalle come mantelli distintivi per differenziarsi dalle persone appartenenti ad ogni angolo del mondo-, di turisti che non essendo abituati alla guida locale a destra, guardano impalati le strade attendendo il momento propizio per muoversi, quasi si trattasse di un rito esoterico voodoo. Che ancora più straniti, osservano e annusano il cibo locale a base di mais, fagioli e pane zuccherato, prima di assaggiarlo.
E proprio qui, in quella che non è la capitale ma che tutto porterebbe a pensare il contrario, a pochi metri, sorge una delle township (baraccopoli) più famose: Soweto. C’è una parte di questa realtà in cui le persone vivono ancora senza elettricità né acqua corrente e la parte meno povera riserva, invece, un’incredibile sorpresa: è l’unico posto al mondo in cui, nella stessa via, hanno abitato due premi nobel: Nelson Mandela (primo presidente nero del Sudafrica dopo la fine dell’apartheid) e Desmond Tutu (arcivescovo sudafricano). Oggi, la casa di Mandela, dove ritornò a vivere per 11 giorni dopo il rilascio nel 1990 da 17 anni di prigionia nel carcere della Robben island, è diventato un museo (completamente ristrutturato nel marzo 2009) simbolo del rispetto e della tolleranza tra i popoli.
Sempre nei dintorni, è possibile rivivere l’esperienza di vita nei villaggi delle tribù zulu. Ma i due luoghi che meritano una menzione speciale sono il museo dell’apartheid e quello della birra (gli altri, abbastanza deludenti per i pochi reperti storici e la marea di ricostruzioni di ambienti, storia, luoghi e personaggi).
Il primo, già dalla prima occhiata è di un fascino ammaliante. Il biglietto distingue l’ingresso per i “bianchi” e per i “non-bianchi” ed è possibile incontrarsi (qualora si fosse in compagnia o comunque con le altre persone) solo dopo aver visitato una piccola parte del museo da soli. Molti i simboli ed i ricordi di un passato agghiacciante, di una realtà stuprata dalla presenza di miniere d’oro e diamanti, che solo quando esaurite, hanno permesso l’avvicinamento, la riconciliazione e la convivenza tra le differenti razze.
Il museo della birra, invece, sorge inaspettatamente nel pieno della Johannesburg frenetica ed economica. E’ un misto di reperti, ricostruzioni, spettacoli 3-D, informazioni della nascita della storia della birra nelle diverse parti del mondo, fino ai tempi d’oggi. Senza tralasciare l’aspetto relativo alla creazione del prodotto birra, dal primo chicco di grano, all’imbottigliamento. Un’ora e mezza d’inebriante divertimento e conoscenza all’odore di luppolo.
Proprio tra Johannesburg e il centro di Soweto sorge imponente, ovale e color mille sfumature della terra d’Africa, lo stadio: First National Bank Stadium (meglio conosciuto come FNB o Soccer City) in cui proprio Mandela tenne il suo primo discorso dopo l’interminabile prigionia ed in cui gli azzurri di Lippi giocano la loro terza partita di questo mondiale 2010 contro gli slovacchi di Weiss, capitanati da Hamisik, giocatore fuoriclasse della SSCnapoli (nel campionato italiano).
Numerosi tra gli spalti gli italiani residenti in Sud-Africa. Questa volta si tratta di un vero tifo made in Italy, con negli occhi sia degli spettatori che dei calciatori, la voglia di trionfo. Il rischio: l’eliminazione definitiva.
Una partita in cui nel primo tempo la presenza dell’Italia la si riconosceva solo per l’azzurro di cui erano dipinti i vari settori dello stadio. Un secondo tempo, invece, con l’ingresso in campo di Quagliarella, Maggio e Pirlo (anche se non in completa forma fisica, ma dalle totali e fondamentali capacità tattiche e mentali) davvero incredibile. Quagliarella assoluto protagonista con: un praticamente gol rimbalzato sul ginocchio all’interno della porta avversaria e purtroppo non assegnato; un cazzotto preso dal portiere Jan Mucha ed un altro gol annullato per un improbabile fuorigioco.
Risultato 3-2 per la Slovacchia che passa il turo e rispedisce gli azzurri in patria.
Il tempo passa, inesorabile, veloce. E con lui restano sulla pelle i segni che lascia. Durante questo gioco che è la vita, con il trascorrere del tempo il vino diventa più buono quando invecchia. Ma nella dura legge del calcio, rischia di diventare aceto.
Cari ex-campioni del mondo, grazie per averci regalato un motivo in più per quattro anni di essere fieri di essere italiani e non lo dimenticheremo. E per il futuro… largo ai giovani.