Era un innamorato di Napoli che ha portato sempre nel cuore, fino all’ultimo momento prima di congedarsi così come ha fatto stavolta per sempre, in punta di piedi da gran signore del calcio, dai modi gentili e garbati, Gigi Simoni che nella Città in riva al Golfo è sbarcato tre volte, da giocatore nel lontanissimo 1961/62 e da allenatore in altre due stagioni, quelle del 1996/97 e 2003/2004. Qui a Napoli era amato e riamato tanto da ritornarci alla guida della squadra azzurra altre due volte, dopo una brevissima permanenza da calciatore vantando 11 presenze e un gol. Aveva sempre il sorriso sulle labbra ed anche nei momenti d’una qualche tensione – di quelle che nel calcio sono d’altronde all’ordine del giorno – non usciva mai dal personaggio sereno, tranquillo e mai fumantino, intervenendo alla sua maniera, spiegando, parlando, sempre con voce dai toni estremamente pacati e convincenti. Ebbene Gigi calcisticamente ha fatto delle cose incredibili da allenatore, potendo vantare ben sette promozioni in serie A, con Genoa, Brescia, Cremonese e Ancona, club che portò agli onori della massima serie, compiendo dei veri e propri miracoli, tali da aver ricevuto anni dopo dei grandi onorevoli riconoscimenti: nel 2003 la Cremonese lo nominò “allenatore del secolo dei grigio rossi”. Dieci anni dopo il Genoa lo ha inserito nella sua “Hall of Fame”. Ma la sua impresa maggiore fu la conquista alla guida dell’Inter di Moratti della Coppa Uefa nel 1996/97. Era la stagione giusta per riportare lo scudetto alla Beneamata, impresa che gli fu impedita a Torino nel match scudetto contro la Juve, quando l’arbitro Ceccarini negò all’Inter un penalty sacrosanto per un fallo di Mark Iuliano su Ronaldo. Fu l’unica volta che il grande Gigi si arrabbiò davvero. A Napoli non fu così, andò diversamente. La gioia di allenare la squadra azzurra dove fu presente in quella breve apparizione da calciatore tanti anni prima, gliela si leggeva negli occhi. Si mise al lavoro con un impegno straordinario caratterizzato dal personaggio professionale attento e scrupoloso che era, senza mai alzare la voce in alcuna circostanza, era il suo modo di essere d’altronde. E con la squadra azzurra alimentò una grande galoppata, tale da ritrovarsi al secondo posto a Natale, in maniera inaspettata alla guida di calciatoricome Taglialatela, Colonnese, Ayala, Baldini, Milanese, Cruz, Pecchia, Bordin, Turrini, Crasson, Boghossian, Caccia, Aglietti, Scarlato, Di Fusco, Coppola, Altomare, Longo, Massimiliano Esposito, Panarelli, Fava e i brasiliani Caio e Beto, questi i suoi calciatori che componevano quel bel Napoli, niente male. Beh, non tutto filò però alla perfezione. Il rapporto con il presidente Ferlaino finì a carte quarantotto giacchè il patron azzurro non riuscì a bloccare Gigi per la stagione successiva per la quale Simoni si era impegnato con l’Inter, a causa delle indecisioni del presidente del Napoli che si ingelosì a tal punto da esonerarlo dopo un periodo di continue baruffe. Quella stagione si concluse con una finale di Coppa Italia persa col Vicenza e con Enzo Montefusco sulla panchina del Napoli, da Ferlaino sottratta a Simoni. A Soccavo il mister ci ritornò anni dopo, in serie B nel 2003/2004, subentrando ad Agostinelli reduce da quel periodaccio delle insufficienti maledettime cinque partite giocate a Campobasso in campo neutro a causa degli incidenti scoppiati in Avellino-Napoli del 20 settembre 2003, quando una massa di ultras napoletani sfondò i cancelli del Partenio alle 20.25, precipitandosi nello stadio e sul terreno di gioco: partita persa a tavolino per 3-0. Quel fuggi-fuggi generale caricato dalle tensioni, dalle ansie e dalle paure costò la vita ad un giovane tifoso partenopeo, Sergio Ercolano, che con i suoi amici si era recato al Partenio per seguire la squadra del cuore: nel pandemonio, per scappare, il ragazzo saltò su di una tettoia malconcia che non resse al peso e all’urto e da cui Sergio finì violentemente a terra. Soccorso e trasportato in ospedale ad Avellino, quello sfortunatissimo giovane ci rimise la vita. In sede governativa ci fu poi chi impresse la mano pesante alzando la voce e sostenendo che “il Napoli deve essere punito in maniera esemplare”. Il presidente Naldi – dopo Campobasso – liquidò Agostinelli il 9 novembre 2003 chiamando sulla panchina azzurra Gigi Simoni, aprendo tra l’altro una questionaccia con Luciano Moggi che da “gran consigliori personale” fu apertamente accusato in tv durante una puntata di “Number One” di aver costruito un Napoli sbagliato. La rosa che il buon Gigi si ritrovò a disposizione nel suo ritorno al Centro Paradiso era composta da Manitta, il marocchino Saber, Del Grosso, Zamboni, il portoghese Josè Maria Vidigal, Vittorio Tosto, Sean Sogliano, Perovic, David Sesa, Marcolin (capitano), Gianluca Savoldi, il brasiliano Montezine, Renato Olive, Davide Dionigi, Floro Flores, Ruben Pasino, Massimiliano Vieri, Quadrini e Bernini. Ebbene quel campionato così fortemente compromesso il Napoli lo concluse malinconicamente al tredicesimo posto, con soli quattro punti di vantaggio sulla zona retrocessione. Ma i problemi non finirono lì, il club azzurro fu dichiarato fallito dal Tribunale e da settembre del 2004 cominciò un’altra storia con Aurelio De Laurentiis e con Pierpaolo Marino direttore generale. Ma non finì la storia personale tra Napoli e Gigi Simoni che qui aveva lasciato il suo cuore, grandissimi amici e grandissimi ricordi in tutti. In tante altre occasioni, infatti, il Gran Signore del calcio ha avuto modo di mostrare il suo attaccamento alla gente ed a quella maglietta che aveva indossato da calciatore quasi mezzo secolo prima: la sua è una lunghissima storia d’amore che nemmeno con la sua scomparsa mai finirà, soprattutto per un dolcissimo motivo sentimentale, caro Gigi anche noi ti portiamo nel cuore, e per sempre!