di Enrico Fasano
Sembrava tutto ancora una volta così perfetto, così attinente al copione. Era sceso in campo il Napoli di sempre, quello che azzanna la partita fin dal primo secondo di gioco, che aizza le folle trasformando il San Paolo nel Colosseo: giovane, cattivo agonisticamente, cinico (dèfaillances difensive rossonere a parte). Improvvisamente, poi, il buio.
Merito, per carità, anche del miglior Milan della stagione e di un faraonico El Shaarawy, protagonista di un avvio di campionato che nemmeno il più accanito degli ottimisti avrebbe potuto prevedere. Attribuire, tuttavia, le responsabilità del mancato conseguimento dei tre punti ai meriti degli avversari è, per quanto sportivo, ampiamente riduttivo.
Il Napoli di questa sera ha evidenziato problemi seri di natura psicologica, figli di una “paura di vincere” che ossessiona la squadra di Mazzarri da più stagioni e si presenta, puntuale, ad ogni prova di maturità a cui sono sottoposti gli azzurri. Inutile scaricare le colpe sui luoghi comuni:”società indegna, campagne acquisti deplorevoli” o ancora peggio “insufficienze tecniche dei calciatori”. Tutte accuse ingrate almeno quanto non fondate.
L’unico vero problema di questo Napoli sta nel giocare le partite fino al doppio vantaggio, che qualche volta è anche singolo, piuttosto che fino al triplice fischio. È come se l’intera squadra si proiettasse con mente (e corpo) al fine-match: gli abbracci coi compagni, la festa grande sugli spalti, le note di O’Surdato ‘Nnammurato che invadono soavemente i timpani di 60’000 napoletani. Gli stessi napoletani che (nonostante offrano un calore che non trova eguali sul Pianeta Terra) hanno visto Aronica alleggerire la pressione offrendo un assist a Sansone, gli stessi che hanno visto Caceres saltare completamente solo su situazione di palla ferma, gli stessi che guardano impotenti Robinho, entrato da un minuto, tagliare l’intera difesa col primo pallone toccato.
È un punto che vale zero, quello di questa sera: frutto di un’ora di black-out ingiustificato, iniziato proprio quando gli azzurri avevano la partita in tasca. Il San Paolo tutto subisce passivo, ma quando De Sanctis lo chiama all’appello per l’assalto finale risponde presente. Ferito, mai morto, ama incondizionatamente il suo Napoli.
Sembrava tutto ancora una volta così perfetto, così attinente al copione. Era sceso in campo il Napoli di sempre, quello che azzanna la partita fin dal primo secondo di gioco, che aizza le folle trasformando il San Paolo nel Colosseo: giovane, cattivo agonisticamente, cinico (dèfaillances difensive rossonere a parte). Improvvisamente, poi, il buio.Merito, per carità, anche del miglior Milan della stagione e di un faraonico El Shaarawy, protagonista di un avvio di campionato che nemmeno il più accanito degli ottimisti avrebbe potuto prevedere. Attribuire, tuttavia, le responsabilità del mancato conseguimento dei tre punti ai meriti degli avversari è, per quanto sportivo, ampiamente riduttivo.Il Napoli di questa sera ha evidenziato problemi seri di natura psicologica, figli di una “paura di vincere” che ossessiona la squadra di Mazzarri da più stagioni e si presenta, puntuale, ad ogni prova di maturità a cui sono sottoposti gli azzurri. Inutile scaricare le colpe sui luoghi comuni:”società indegna, campagne acquisti deplorevoli” o ancora peggio “insufficienze tecniche dei calciatori”. Tutte accuse ingrate almeno quanto non fondate.L’unico vero problema di questo Napoli sta nel giocare le partite fino al doppio vantaggio, che qualche volta è anche singolo, piuttosto che fino al triplice fischio. È come se l’intera squadra si proiettasse con mente (e corpo) al fine-match: gli abbracci coi compagni, la festa grande sugli spalti, le note di O’Surdato ‘Nnammurato che invadono soavemente i timpani di 60’000 napoletani. Gli stessi napoletani che (nonostante offrano un calore che non trova eguali sul Pianeta Terra) hanno visto Aronica alleggerire la pressione offrendo un assist a Sansone, gli stessi che hanno visto Caceres saltare completamente solo su situazione di palla ferma, gli stessi che guardano impotenti Robinho, entrato da un minuto, tagliare l’intera difesa col primo pallone toccato.È un punto che vale zero, quello di questa sera: frutto di un’ora di black-out ingiustificato, iniziato proprio quando gli azzurri avevano la partita in tasca. Il San Paolo tutto subisce passivo, ma quando De Sanctis lo chiama all’appello per l’assalto finale risponde presente. Ferito, mai morto, ama incondizionatamente il suo Napoli.