di Claudia Esposito
Genova. Città dai mille colori che variano dall’azzurro del mare in cui nuotano beati i pesci dell’acquario più bello e più grande d’Europa (dopo quello di Valencia, Spagna), al marrone del suo porto, che è ancora oggi il più importante d’Italia, nonché uno dei più grandi del Mediterraneo. Dalle incantate sfumature che spaziano dall’arte del centro storico con i suoi rolli, prestigiosi palazzi appartenuti alle nobili famiglie che ambivano ad ospitare le alte personalità in transito per visite di stato (dichiarati patrimonio dell’umanità dall’UNESCO), ai navigatori. Il più importante al quale Genova diede i natali? Cristoforo Colombo.
Facente parte del triangolo industriale del nord-ovest d’Italia, insieme a Milano e Torino, eletta capitale della cultura nel 2004, fu anche una delle quattro Repubbliche Marinare (Amalfi, Genova, Pisa e Venezia) che nel Medioevo, godevano di un’autonomia politica basata su una prosperità economica dovuta alle loro attività marittime e che per essere definite repubbliche marinare dovevano godere di: indipendenza, cioè governo autonomo sotto forma di repubblica oligarchica, avere una propria moneta accettata in tutto il Mediterraneo (con annessi “consoli delle nationes” che ne curavano gli interessi commerciali), aver partecipato alle crociate e possedere una flotta di navi.
E da allora ad oggi di tempo ne è passato. E ne è passato tanto, precisamente 20 partite, da quando la Sampdoria non perde una gara in casa. Quindici anni da quando il Napoli non vince al Marassi.
Infatti, allo stadio Ferraris di Genova (detto anche Marassi, per il quartiere in cui è situato), in una giornata dalle tinte ancora estive, nonostante sia fine settembre e nonostante gli spalti non siano completamente gremiti, si gioca la terza partita di campionato che vede scendere in campo i guerrieri azzurri di Mazzarri contro i blucerchiati di Di Caprio, in un match arbitrato dall’arbitro Valeri.
Tre. Il numero della perfezione, della trinità, dell’esoterismo… avente una grande forza energetica e simbolo della conciliazione per il suo valore unificante. Infatti tanto il due separa quanto il tre riunisce.
Ed in questa partita, dominata dagli azzurri in tutti e novantatrè minuti, anche se alcuni passaggi lunghi, altri eccessivamente indietreggiati ed altri troppo centrali nella porta avversaria non sono mancati, tre sono stati i gol marcati. Il primo, spedito in rete da Cassano per i doriani su calcio di rigore concesso da Valeri. I successivi, bellissimi, di Hamsik e a seguire Cavani per gli azzurri, con un risultato definitivo di 1-2 per i guerrieri di Mazzarri. L’allenatore azzurro, inoltre, dopo il secondo gol di Cavani, non ha esitato ad incitare la squadra a continuare a giocare fino all’ultimo secondo senza perdersi in festeggiamenti anticipati, che avrebbero potuto annullare in un batter d’occhio il vantaggio conquistato (e quindi ripetere la negativa esperienza di quello che accadde col Bari il dodici settembre scorso).
Che sia la perfezione di questo numero che abbia destato gli azzurri da uno stato eccessivamente soporifero… potrebbe essere una congettura. Ed allora che la favola continui senza bisogno di superstizioni inutili, ma solo con la sicurezza e la determinazione di coloro che scendono in campo per vincere.