un ricordo di Gianfranco Coppola
Giam. Quella sigla sembrava un vezzo. Aveva un qualcosa di dolcemente pastoso, come in fondo la sua parlata un po’ cantilenante, in tv quasi da attore consumato perchè Gigi Amaturo sapeva intepretare ciò che diceva. Ovviamente, rigorosamente a braccio. Come quei giornalisti abituati a dettare da una salumeria o una casa intorno allo stadio cento righi, più sessanta di pagelle. Più, prima del match, duecento di copertura. Altri tempi. Gigi Amaturo appartiene ad un altro giornalismo. Ma anche al nostro. Ci sono carriere infinite. Gigi Amaturo è stato un grande giornalista ma soprattutto un innamorato del calcio.In effetti, soprattutto quando era corrispondente della Gazzetta dello Sport, ha seguito anche altri avvenimenti con stile sobrio e sciolto, mostrando conoscenza perfetta del mestiere: un dono di natura. Ma era il calcio la sua passione. E faceva sfoggio di immensa competenza, ostentandola. Cosa che faceva indispettire in tanti, molti colleghi in testa.
Ricordando una persona scomparsa, si finisce inevitabilmente col parlare di sè. E pur volendomi sottrarre a questo trabocchetto è inevitabile citare alcuni episodi che servono soltanto per far capire a chi aveva perso di vista, o mai incorciato nella vita professionale, l’oggi 84enne Giam chi era. Quando ragazzino frequentavo la tribuna stampa del Vestuti, lo guardavo dai gradini superiori al suo posto in prima fila. Pipa e taccuino. Giam, la sigla che m’incuriosiva da studente, era lì con la sua faccia navigata, lo sguardo penetrante e solo apparentemente distaccato. Una volta mi disse: ti ho letto su gazzetta di Salerno e ora sul Guerin Sportivo. Sei bravo ma ricorda che devi andar via da Salerno, qua muori. Un po’ il fujetevenne eduardiano per i napoletani. Anni dopo, in una delle mie prime trasferte al seguito della Nazionale di calcio, a Mosca, pranzai con Nino Petrone – salernitano che astutamente era andato via da Salerno giovanissimo, un talento – e Gianni Brera che da buon longobardo amava Salerno per la sua storia. “Ah sei di Salerno, come Gigi Amaturo”. E io raccontai di cosa facesse Giam: le tivù, la partita vista da un balcone tra i distinti e la curva vecchia del Vestuti, perché non gli venivano perdonati gesti d’amore per la Salernitana scambiati per critiche. Brera se ne dispiacque: fratre, disse a Nino Petrone che sembrava un fraticello con la barbettina già brizzolata, interessati della cosa. Non è da capitale d’Italia, da prima scuola medica del mondo. Purtroppo, i tentativi di mediazione non ebbero successo. Gigi rimase lì. E forse questo, devo dirlo con amarezza, gli costò all’età del pensionamento la corrispondenza della Gazzetta che non vedeva bene il suo giornalista impossibilitato a frequentare lo stadio.
Fu poi Gianni Mura, l’allievo prediletto di Gianni Brera, a chiedermi di Gigi Amaturo: “Io ero ragazzo di bottega alla Gazzetta e passavo i pezzi da Salerno, da Cava ma anche da molti centri del Sud, dove c’erano i match di cartello di serie B e C, i pezzi di Gigi. Peccato non ne abbia mai voluto sapere di lavorare a Milano. Sarebbe stato per anni una delle prime firme del calcio, uno di quelli che potevano scrivere della partita senza un solo momento d’imbarazzo nel trinciare giudizi sul lavoro altrui”.
Negli ultimi tempi chiesi a Matteo, il figlio mascio e unico, di Gigi. “Ormai parla solo con la nipote, mia figlia”, mi confidò con tristezza. A Giam ho sempre voluto bene pur vedendolo poco e quando Mario Compagnone, per molti anni apprezzatissimo fiduciario dell’Ussi, decise che andava dato un premio ad Amaturo mi trovai sinceramente solidale. Mi auguro che nel triste Arechi di oggi, mentre si consuma il degrado sportivo stagionale della Salernitana, venerdi sera uno striscione ed un lunghissimo applauso ricordi Gigi Amaturo. “Starà parlando agli angioletti di Valese, Viani e Hiden”, ha risposto così al mio sms che annunciava la scomparsa di Gigi un altro strepitoso, fine, impareggiabile giornalista salernitano malatissimo di granatite, e cioè Gaetano Giordano. Ciao, Giam.